SCUOLA CREATIVA . sito dedicato a Gianfranco Zavalloni, intuizioni ... il suo cammino... per chi vuole proseguire
Diritti Naturali dei Bambini

Diritti Naturali dei Bambini

DIRITTI NATURALI
di Bimbi e Bimbe

la cosa più importante nella vita è vedere con gli occhi di un bambino
Einstein

IL DIRITTO ALL’OZIO
 a vivere momenti di tempo non programmato dagli adulti
IL DIRITTO A SPORCARSI
 a giocare con la sabbia, la terra, l’erba, le foglie, l’acqua, i sassi, i rametti
IL DIRITTO AGLI ODORI
a percepire il gusto degli odori, riconoscere i profumi offerti dalla natura
IL DIRITTO AL DIALOGO
ad ascoltatore e poter prendere la parola, interloquire e dialogare
IL DIRITTO ALL’USO DELLE MANI
a piantare chiodi, segare e raspare legni, scartavetrare, incollare, plasmare la creta, legare corde,accendere un fuoco
IL DIRITTO AD UN BUON INIZIO
a mangiare cibi sani fin dalla nascita, bere acqua pulita e respirare aria pura
IL DIRITTO ALLA STRADA
a giocare in piazza liberamente, a camminare per le strade
IL DIRITTO AL SELVAGGIO
 a costruire un rifugio-gioco nei boschetti, ad avere canneti in cui nascondersi, alberi su cui arrampicarsi
 IL DIRITTO AL SILENZIO
ad ascoltare il soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell’acqua
IL DIRITTO ALLE SFUMATURE
a vedere il sorgere del sole e il suo tramonto, ad ammirare, nella notte, la luna e le stelle

Come Nascono i Diritti Naturali?

“Pensate ai diritti che avevate da Bambini…
Quando mi sono trovato in Sud America ho osservato i bambini, e rispetto ai bambini di una città occidentale, misono accorto che “i Nostri Bambini hanno sempr emeno libertà e diritti”
Gianfranco Zavalloni

ritornare bambino o bambina…
un invito, o meglio, un appello rivolto ai grandi genitori, insegnanti, amministratori

Il manifesto dei diritti naturali dei bimbi e delle bimbe, pur essendo rivolto al mondo dei “piccoli”, interroga soprattutto noi “grandi”. Siamo noi adulti ad essere – infatti – interpellati da queste riflessioni. Siamo noi che dobbiamo prendere coscienza di ciò che rischiamo di non offrire all’infanzia, e quindi, indirettamente, di derubare ai bambini e alle bambini. Uso l’espressione “derubare” proprio perché ritengo che il rischio del furto ci sia. È il furto di opportunità, di esperienze, di competenze di occasioni che “o si vivono nei primi anni di vita” oppure rischiamo di “perderle per sempre”. Quando, in questi ultimi tempi, mi sono ritrovato a riflettere e a discutere sul problema dei diritti dei bambini e delle bambine (sono trascorsi quarant’anni dalla Dichiarazione internazionale dei diritti del fanciullo e appena dieci dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia) ho cercato – prima di tutto – di mettermi nei loro panni: quelli dei bambini e delle bambine. Credo infatti che sia indispensabile cercare di fare una operazione di memoria, ripensare, cioè al tempo della nostra infanzia. Si tratta in altre parole di ripensarci piccoli, ripensare a quando “…noi eravamo bambini e bambine”.
Per poter riuscire in questo, è bene farsi poche ma precise domande:
cosa amavamo fare?
con chi giocavamo?
dove ci piaceva giocare?
quali erano i nostri giochi e giocattoli preferiti?
quali erano i nostri diritti?
chi ce li garantiva?

avevamo coscienza dei nostri diritti o era un fatto del tutto naturale?
A partire dalle risposte che personalmente mi sono dato, confortato dal lavoro diretto con i bambini per più di 20 anni e aiutato dalla opinione di centinaia di mamme, babbi, insegnanti, educatori ed animatori, ho cercato di semplificare le esigenze fondamentali dei bambini e delle bambine definendoli “diritti naturali”.
Per noi erano – forse -del tutto scontati. Oggi – però – non lo sono per i bambini e le bambine che vivono nelle nostre regioni, nelle città e nei paesi del Nord del mondo.
Se oggi dovessimo riscrivere la Carta internazionale dei diritti dell’infanzia, sicuramente io aggiungerei anche questi diritti fra quelli che ormai sono considerati i diritti fondamentali.

Ritengo infatti che questi siano dei veri e propri “diritti naturali” dei bambini e delle bambine.

  1. Il diritto all’ozio
    Siamo nell’epoca in cui tutto è programmato, curriculato, informatizzato. Ai bambini e alle bambine offriamo praticamente una settimana programmata nei minimi dettagli. Spesso le loro iter scolastici, le loro carriere, sono praticamente predefiniti da noi adulti. Non c’è spazio per l’ozio, l’imprevisto, l’auto-organizzazione infantile. Anche gli stessi spazi di gioco sono preorganizzati. Non c’è, da parte dei bambini e delle bambine, la possibilità di momenti autogestiti. È ingiusto pensare al tempo dei bambini e delle bambine esclusivamente come un tempo di preparazione a “quando saranno adulti, con un loro lavoro”? È importante la meta, ma è altrettanto importante il “cammino” che si fa per giungere a quel traguardo. L’infanzia va vissuta in quanto tale e non solo come periodo di preparazione all’età matura. Si tratta perciò di imparare a “camminare” sapendo che educazione è anche “fare strada insieme”, attenti a ciò che ci viene incontro in maniera imprevista. E forse, come afferma il Piccolo Principe, capiremo che “l’essenziale è invisibile agli occhi”. E’ indispensabile, per noi grandi, prendere coscienza che il tempo del gioco, il tempo dell’ozio, il tempo del “non far niente insieme agli amici” è importante. E tutto questo anche senza la presenza di noi adulti. I bambini e le bambine hanno bisogno di scoprire da soli quelle che sono le regole dello stare insieme, del giocare nello stesso luogo. Solo così matureranno e faranno proprie le “regole fondamentali di convivenza”. Saranno regole, a quel punto, acquisite naturalmente nella coscienza personale e non imposte dagli altri, dall’adulto, dall’alto.

  2. Il diritto a sporcarsi
    L’epoca attuale è quella del look, delle cartelle firmate, delle riviste di moda e dei negozi di abbigliamento per l’infanzia, dei bambini col cellulare. Ma il nostro è anche il tempo del “non ti sporcare”, “stai attento”, “ma cosa mi hai combinato?!”. Credo che i bimbi e le bimbe abbiano il sacrosanto diritto di giocare con i materiali naturali: la sabbia, la terra, l’erba, le foglie, i sassi, i rametti, la neve, l’acqua,… Quanta gioia c’è, nei bambini e nelle bambine, quando pastrocchiano in una pozzanghera o in un cumulo di sabbia o di neve. Però queste, a detta degli esperti, rischiano di essere attività poco igieniche. Nulla si dice sulla poca igienicità di una moquette, delle paste sintetiche ampiamente reclamizzate con cui giocano e manipolano i bambini e le bambine soprattutto nelle scuole. Proviamo ad osservare attentamente bimbi e bimbe in alcuni momenti di pausa dai giochi organizzati oppure quando siamo in un boschetto o su un prato. Sarà interessante scoprire che un bimbo o una bimba sono capaci di giocare per ore con le poche cose trovate per terra, le foglie d’erba, un po’ di sabbia, alcuni bastoncini o ciottoli. Sono sufficienti uno spazio all’aria aperta, qualche semplice oggetto che l’ambiente naturale ci regala, un po’ d’acqua e… un clima sereno.
    In questa semplicità emerge un grande messaggio educativo per i mondo di noi adulti: i bimbi e le bimbe ci insegnano che non hanno bisogno di giochi e giocattoli complicati ed elaborati, ma che si accontentano delle piccole e semplici cose che la natura di offre, in un clima sereno e accogliente.

  3. Il diritto agli odori
    Oggi il rischio è quello di mettere tutto “sotto vuoto”. Nel percorrere le nostre città e i nostri paesi è difficile poter distinguere luoghi tipici, percettibili olfattivamente fino a pochi anni fa. Pensiamo alla bottega del fornaio, all’officina del meccanico delle biciclette, al calzolaio, al falegname, alla farmacia. Questi luoghi emanavano odori speciali, di cui si impregnavano i muri, le porte, le finestre. Oggi entrare in una scuola (chi non ricorda l’odore del primo giorno di scuola), in un ospedale, in un supermercato o in una chiesa spesso significa respirare ed annusare lo stesso odore di detergente. Non ci sono più differenze. Abbiamo annullato le diversità di naso, o meglio le diversità olfattive. Eppure chi di noi non ama sentire il profumo di terra dopo un acquazzone e non prova un certo senso di benessere entrando in un bosco ed annusando il tipico odore di humus misto ad erbe selvatiche? Sono sensazioni che dal naso passano direttamente al cervello e spesso ci fanno fare salti di memoria, tornare alla nostra infanzia. Imparare fin da piccoli il gusto degli odori, percepire i profumi offerti dalla natura, sono esperienze che ci accompagneranno lungo la nostra esistenza. Non possiamo derubare il mondo dell’infanzia di questa grande opportunità: il diritto al proprio naso.

  4. Il diritto a prendere la parola
    Dobbiamo constatare sempre di più la triste realtà di un sistema di comunicazione e di informazione “unidirezionale”. Da una parte la TV, i giornali, i mass-media, dall’altra gli ascoltatori, i telespettatori che subiscono passivamente. Siamo al monologo. Un tempo si poteva entrare tranquillamente nelle case e si poteva chiacchierare al caldo del camino o della stufa. Oggi al centro non c’è più il fuoco, ma la televisone e, possibilmente, sempre in funzione. Si mangia, si gioca, si lavora, si accolgono gli amici “a televisione accesa”. Un calcolo matematico (approssimato e per difetto) ci dice che se un bambino o una bambina seguono la TV per 2 ore al giorno, moltiplicato per circa 360 giorni all’anno, abbiamo un totale di 720 ore. Se dividiamo per le 24, cioè le ore di un giorno, otteniamo 30. Trenta giorni, cioè un mese ininterrotto (24 ore al dì) di televisione all’anno. E questo non è certo dialogo. Con la televisione non si “prende la parola”. Cosa diversa è il raccontare fiabe, narrare leggende, vicende e storie, fare uno spettacolo di burattini. In questi casi anche lo spettatore-ascoltatore può prendere la parola, interloquire, dialogare.

  5. Il diritto a saper usare le mani
    La tendenza del mercato è quella di offrire tutto preconfezionato. L’industria sforna ogni giorno miliardi di oggetti “usa e getta”, che non possono essere riparati. Nel mondo infantile i giocattoli industriali sono talmente perfetti e finiti che non necessitano dell’apporto creativo della manualità del bambino o della bambina. Oggi, poi, anziché i calcio-balilla, nelle sale giochi o nei circoli ricreativi, ci si abitua al video-gioco. E nel contempo mancano le occasioni per sviluppare le abilità manuali ed in particolare la manualità fine. Non è facile trovare bambini e bambine che sappiano piantare chiodi, segare, raspare, scartavetrare, incollare… anche perché è difficile incontrare adulti che vanno in ferramenta a comprare i regali ai propri figli. Quello dell’uso delle mani è uno dei diritti più disattesi nella nostra società post-industriale e rischiamo di avere bambini e bambine capaci di stare ore davanti ad un computer, ma incapaci di usare un martello o un paio di pinze.

  6. Il diritto ad un buon inizio
    Qui mi riferisco alla problematica dell’inquinamento. L’acqua non è più pura come cantava San Francesco, l’aria è intrisa di pulviscoli di ogni genere. Non meravigliamoci, perciò, della esplosione delle allergie, che colpiscono oggigiorno una buona percentuale di popolazione. La terra è fecondata dalla chimica di sintesi. Si dice sia il frutto non desiderato dello sviluppo e del progresso. Eppure in quel “tornare indietro” che molti di noi hanno vissuto fra il 1973 e il 1974, con la famosa “austerity”, abbiamo ritrovato il gusto della città, lo stare insieme in maniera conviviale, divertente, spensierata, senza l’assillo dell’automobile e del tempo. È questo che spesso i bimbi e le bimbe ci chiedono. Da qui l’importanza dell’attenzione a quello che “fin da piccoli si mangia”, “si beve” e si respira.

  7. Il diritto alla strada
    La strada è per eccellenza il luogo per mettere in contatto. La strada e la piazza dovrebbero permettere l’incontro. Oggi sempre più le piazze sono dei parcheggi e le strade sono invivibili per chi non ha un mezzo motorizzato. Piazze e strade sono divenute paradossalmente luoghi di allontanamento. É praticamente impossibile vedere bambini giocare in piazza, spostarsi in bicicletta. Gli anziani sono continuamente in pericolo in questi luoghi. Dobbiamo renderci conto che, come ogni luogo della comunità, la strada e la piazza sono di tutti, così come ancora è in qualche nostro piccolo paesino di montagna o in molte città del Sud del mondo.

  8. Il diritto al selvaggio
    Anche nel cosiddetto tempo libero tutto è preorganizzato. Siamo nell’epoca dei “divertimentifici”. Gli esempi più eclatanti sono Eurodisney, Gardaland, Mirabilandia… parchi gioco programmati nei dettagli. E così è nel piccolo, nei parchi pubblici e nel verde delle città, compreso l’arredo urbano. Certo, nulla da eccepire riguardo l’aspetto estetico. Ma dov’è la possibilità di costruire un luogo di rifugio-gioco, una capanna di legno, dove sono i canneti e i boschetti in cui nascondersi, dove sono gli alberi su cui arrampicarsi? Il mondo è fatto di luoghi modificati dall’uomo, ma è importante che questi si compenetrino con luoghi selvaggi, lasciati allo stato naturale. Anche per l’infanzia.

  9. Il diritto ad ascoltare il silenzio
    I nostri occhi possono socchiudersi e così riposare, ma le orecchie sono sempre aperte. Così sono sottoposte continuamente alle sollecitazioni esterne. Mi sembra ci sia l’abitudine al rumore, alla situazione rumorosa, a tal punto da temere il silenzio. Sempre più spesso è facile partecipare a feste di compleanno di bimbi e bimbe accompagnate da musiche assordanti. E così accade anche a scuola. L’immagine emblematica di tutto ciò è data da coloro che si spostano alle periferie delle città e a piedi o in bicicletta si portano nella natura, per una bella passeggiata, con le cuffie del registratore portatile ben inserite nelle orecchie. Perdiamo occasioni uniche: il soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell’acqua. Questo significa diritto al silenzio, ad educarci all’ascolto silenzioso.

  10. Il diritto a percepire le sfumature
    La città ci abitua alla luce, anche quando in natura luce non c’è. Nelle nostre case l’elettricità ha permesso e permette di vivere di notte come fosse giorno. E così spesso non si percepisce il passaggio dall’una all’altra situazione. Quel che più è grave è che poche persone, pochi bambini o bambine, riescono a vedere il sorgere del sole, cioè l’aurora e l’alba oppure il crepuscolo o il tramonto. Non si percepiscono più le sfumature. Il pericolo che qualcuno paventa è che vedendo solo nero o bianco si rischi davvero l’integralismo. In una società in cui le diversità aumentano anziché diminuire, quest’atteggiamento può risultare realmente pericoloso. È una riflessione che ci interpella tutti.

IL PROGETTO DELLE 8 PIAZZE DEI GIOCHI E DEI DIRITTI
NATURALI DEI BIMBI E DELLE BIMBE
A cura dell’Associazione GRTACIN di Cesena
SEI PAROLE PER CAPIRE

GRTA-CIN
GRTA-CIN sta per Gruppo di Ricerca Tecnologie Appropriate – Centro Informazione non Violenta, una associazione di volontariato che opera a Cesena dal 1980 sulla compatibilità economica, ecologia, sociale e politica delle tecnologie.
E propone perciò le cosidette Tecnologie Appropriate
Il GRTA-CIN lavora sui temi della pace, sulla salvaguardia del creato, dell’educazione all’ambiente… concepiti come modificazione dei piccoli gesti quotidiani e dello stile di vita.
E in tutto questo le tecnologie educative e l’educazione sono sicuramente centrali, al pari delle tecnologi utilizzate all’energia, ai rifiuti ed ai trasporti.

PIAZZE
La piazza è un elemento che connota e caratterizza le città fin dal loro nascere.
In Italia sicuramente questo è avvenuto dal periodo dei cosidetti “comuni”.
Le Città in genere hanno una piazza centrale e poi tante piazze sulle quali si sono affacciate la vita econmica, sociale, polita e religiosa degli abitanti.
La piazze è un luogo di incontro di tutte le generazioni, dai bambini agli anziani.
Ma la Piazza è anche un luogo simbolo.
La Piazza cioè è la metafora della città
La Piazza dei bambini e delle bambine è come dire ” la città dei bambini e delle bambine”.

DIRITTI
È oramai acquisito: la nostra società si fonda sul riconoscimento comune dei diritti fondamentali.
Pensiamo alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo oa quella dei Diritti dell’Infanzia.
Casa, lavoro, salute, famiglia, libertà di religione, di scuola, gioco… sono alcune delle parole chiave per leggere le nostre società, le cui regole si basano sulla tutela di tali diritti.
Ma ci ono, a nostro parere, dei diritti connaturati con la vita stessa: i cosiddetti Diritti Naturali dei Bambini e delle Bambine.

GIOCHI
I giochi son l’espressione caratteristica dell’Infanzia.
Ma guai a quella società che perde il senso del giocare oltre l’infanzia, che non vive cioè il lavoro come un elemento di gioco degli adulti, che non base le relazioni umana su modalità ludiche, che non ha un approccio al quotidiano di tipo giocoso.
Ma ancor più maledetta è la comunità che non sa giocare o che ha bisogno di qualche trasmissione televisiva o di incentivi per giocare.
Gioco è sempre, nella sua accezione più vera, sinonimo di gratuito.

BAMBINI E BAMBINE
La nostra è una società che storicamente – a detta di alcuni sociologi e antropologi – ha elaborato l’idea dell’infanzia, e dell’adolescenza:
periodi che anticipano e preparano alla vera vita, la vita adulta.
Spesso usiamo espressioni quali: ” i bambini e le bambine sono il futuro della società”.
Ma i bambini e le bambine – noi crediamo – sono già, nel loro essere tali, parte viva della società.
Nella loro piccolezza c’è già pienamente la natura umana.
Non possiamo pensare di far vivere ai bambini ed alle bambine tutte le loro esperinze di apprendimento, di gioco, di socializzaizone in funzione del “quando saranno grandi e quindi adulti”.
La vita di una persona parte con la nascita ed è una “freccia lanciata” nel tempo.

285
Evidentemente è un numero connaturato con leggi che danno segnali importanti alla società italiana.
Chi non ricorda la famosa legge del 1977, la “Legge 285 sulla occupazione giovanile”.
Ebbene dopo vent’anni il governo italiano propone una legge – che il parlamento approva – la cosidetta Legge Turco, la legge 285 del 1997 sull’infanzia.
È una legge che in maniera originale mette i bambini e le bambine al centro delle strategie e dei modi organizzativi della società.
Con la legge 285 si pongono le basi per una progettazione e una programmazione o per una pianificazione territoriale, come ad esempio è il Piano Regolatore Generale della città di Cesena, ” a misura di bambini“.


8 PIAZZE PER CESENA A MISURA DI BAMBINI E BAMBINE
(Un Progetto purtroppo mai portato a termine)

La Piazza delle Biglie
Un luogo in cui poter predisporre un vero e proprio bigliodromo, cioè una zona per poter giocare con le biglie.
La zona sarà realizzata in due maniere: il primo è la pista delle “biglie in plastica”, che consiste in una enorme sabbiera, in legno, da usufruire come pista per il gioco delle biglie in plastica.
Il secondo è la pista delle “biglie in vetro”.
In pratica una piattaforma in sabbia battuta, resa fine, con buche predisposte come una pista da biglie.

La Piazza delle Trottole
In cui giocare con l’antico e moderno gioco delle trottole.
Si tratta di utilizzare una piattaforma di cemento già esistente e predisporla a “zona di gioco delle trottole” con relativa segnalazione.
Verrano poi realizzati tornei o giochi liberi con le varie versioni di trottole.

La Piazza del Selvaggio
Cioè una zona di verde pubblico in cui far crescere canneti, arbusti e cespugli selvatici, nonchè alberi da poter essere arrampicati.
Nell’area verrà fatta una piantumazione nell’ottica di rendere il tutto davvero “selvaggio” attraverso canneti, arbusti e cespugli selvatici ed alberi.
Si cercherà di poter disporre dei vivai forestali della provincia che allevano piante autoctone con portamento “naturale”.

La Piazza del Silenzio
In cui creare le condizioni per poter godere esclusivamente del silenzio.
Anche per questa piazza sarà fatta la piantumazione di una zona e la realizzazione di uno “stagno naturale”. da rendere accessibile alla micro-fauna (soprattutto uccelli e rane) e da permettere così l’ascolto dei canti e dei versi degli animali, nonchè le voci del vento.

La Piazza dei Profumi
Potrà essere un’area in cui predisporre piccole siepi di erbe officinali che diano la possibilità di educare alla conoscenza dei diversi odori.
Particolarmente significativa sarà la colocazione delle piante nella cosidetta “spirale delle officinali”

La Piazza delle Albe
Una zona che permetta di poter vedere con buona visuale, cioè dall’alto, l’alba sul Mar Adriatico.
Sarà chiaramente collocata sulle prime propaggini delle nostre colline.

La Piazza dei Tramonti
Sarà un’altra “zona di osservazione” in questo caso dei Tramonti, con attrezzature minime e semplici (panchine…).

La Piazza dei Racconti
Un luogo permanentemente adattato a spettacoli di burattinai, cantastorie o semplici raccontatori, come sono ad esempio i nonni.


LE PIAZZE DEI DIRITTI NATURALI DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE

Le piazze dei diritti naturali dei bambini e delle bambine, progettate inizialmente per Cesena…

Possibile per tante altre città?

10 Illustrazioni per 10 Diritti | OMAGGIO A GIANFRANCO ZAVALLONI

Un classico che si rinnova
di Franca Zuccoli

Il Decalogo dei Diritti naturali di bimbe e bimbe è, per tutti quelli che si occupano di educazione, scuola e bambini, un classico nel senso proposto da Italo Calvino (2017).
Come lo scrittore ci suggerisce un classico è un testo che vive nella relazione con l’umanità in cambiamento, che sa proporci riflessioni e parole di costante attualità e che per questo stesso fatto è continuamente a noi contemporaneo.
È un libro che è letto e riletto, perché viene volontariamente cercato e, con il passare degli anni, invece di invecchiare, assume una capacità quasi miracolosa di entrare naturalmente in relazione con quello che accade, riuscendo a illuminare nuovi punti di vista e a intercettare prospettive innovative, che lo stesso autore non aveva potuto prendere in considerazione nel momento della sua scrittura.
Ecco il classico è dunque un pensiero scritto che ha in sé una potenza, quasi profetica, per cui può riuscire a rispondere anche a esigenze nuove, vissute ben dopo la scomparsa del suo artefice e, ovviamente per questo, impossibili
da considerare per lo stesso suo demiurgo.
Nello specifico attingendo direttamente alle parole di Calvino possiamo evidenziare almeno cinque dei suoi quattordici punti sulla definizione dei classici, che meglio si attagliano allo scritto di Gianfranco Zavalloni.
Nel rileggere lo scritto calviniano ci colpisce l’essenzialità e al contempo l’esaustività della proposta, che in qualche modo, nella sua sinteticità ci offre una potenza di approfondimento che ci rimanda alla similarità delle frasi incisive di Zavalloni.

“6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
[…]

  1. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente
    nel linguaggio o nel costume). […]
  2. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi e inaspettati. […]
  3. Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani. […]
  4. Il ‘tuo’ classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.” (Calvino, 2017, pp. 7-10)
    Questo nuovo libro, che avete tra le mani, si è avvicinato al Decalogo di Gianfranco Zavalloni, trattandolo come un classico, nell’interpretazione calviniana, rispettando così la sua intrinseca visionarietà, legata a
    un’attenzione e un rispetto dedicato ai bambini e alla natura, che ha saputo capovolgere le regole del “gioco educativo” allora in atto.
    In modo altrettanto attento e rispettoso Mario Turci ha preso in mano lo scritto di Zavalloni e lo ha proposto, articolo per articolo, a una serie di autori direttamente invitati a far parte di questo progetto.
    Nella scelta delle persone da coinvolgere Turci non si è limitato a pedagogisti e didatti, seppure fortemente presenti, ma ha aperto le porte ad architetti, artisti, designer, filosofi, letterati… tutte figure che nel loro percorso personale e professionale avevano lavorato, interloquito, si erano sperimentate nel contatto con bambine e bambini e che lo fanno tuttora.
    A ognuno di loro è stato affidato un diritto, non scelto, ma dato, creando così a volte la necessità di un approfondimento, di uno scavo nel proprio cammino culturale e professionale, per comprendere il perché, per leggere e rileggere le frasi di Zavalloni toccate in loro a sorte, creando una connessione viva e attuale.
    Certamente gli anni della comparsa del Decalogo, avevano già visto numerosi pedagogisti e didatti schierarsi nel sollecitare modi diversi di fare scuola, nel tenere in considerazione il pensiero, il corpo, le azioni delle bambine e dei bambini. Il Decalogo, con la sua essenzialità e incisività, ha saputo collocarsi tra teoria e pratica, andando a incidere nei pensieri e nelle azioni di molti educatori, insegnanti, genitori, pedagogisti e non solo.
    Le frasi sintetiche e al contempo complete, ricche di esplicitazioni e riferimenti concreti, risultavano un modo immediato per confrontarsi con quanto realizzato nella propria esperienza lavorativa e/o personale, verificando cosa fosse possibile fin da subito modificare.
    Risulta significativo inserire qui un brano dello stesso Gianfranco Zavalloni che in modo puntuale suggeriva fin da subito la motivazione di questo decalogo, il suo fine immediato e prospettico.
    “Lavorando prima come maestro e poi come dirigente scolastico mi sono accorto che quasi tutti i bimbi e le bimbe d’Europa o delle famiglie ricche del Sud del Mondo hanno riconosciuti i diritti stabiliti dalla Carta
    Internazionale dei diritti dell’Infanzia (istruzione, salute, gioco…).
    Ma agli stessi sono pressoché negati quelli che io definisco “diritti naturali”.
    Questo manifesto è rivolto ai grandi, anche perché i piccoli lo capiscono al volo. Un po’ come diceva il Piccolo Principe ‘… ai grandi bisogna sempre spiegare tutto quello che i bambini capiscono subito’.” (Zavalloni, 2014, p.3)
    La riflessione dell’autore ci permette di collocare e comprendere il perché di questi diritti naturali, che non vanno a sostituire quelli che potremmo chiamare i diritti inalienabili dei bambini e che, fortunatamente, a livello internazionale sono almeno stati definiti, a garanzia di ogni piccolo essereumano presente sulla faccia della terra.
    Come ci dimostrano le ricerche e indagini compiute ogni anno, i diritti dell’infanzia non sono certamente ancora stati raggiunti, si tratta di un cammino lungo e difficile da percorrere, che bisogna però sempre monitorare per non arretrare.
    Bambini che non hanno cibo, acqua, cure mediche, educazione…, possibilità di accesso a divertimenti, cultura, sport sono ancora la grande maggioranza di questo mondo contemporaneo.
    Ma il tenere sempre salda l’attenzione ai passi indispensabili da percorrere, per rischiare di non vedere, di non fare, di non proteggere e garantire i bambini in ogni parte del mondo, deve però avere presente anche quanto i bambini fortunati, perché nati in altre parti del mondo e/o in altri contesti sociali, rischiano costantemente di perdere.
    Si tratta dell’altro lato di una situazione che ha un percorso economico preciso, che trasforma i bambini in consumatori ubbidienti, e in certo qual modo li anestetizza.
    Qui risulta significativo citare la posizione scomoda di Byung-Chul Han presentata nel testo La società senza dolore, che ci ricorda che abbiamo volutamente bandito la sofferenza dalle nostre vite, a favore della trasformazione in un mondo a una sola dimensione definita e rassicurante, che cancella per prima cosa il dolore, la sofferenza e la complessità dal proprio percorso.
    Ma sofferenza, complessità, sfumature sono, a pieno titolo, parte del vivere e Han ce lo ricorda: “Il nostro rapporto col dolore (Schmerz) rivela la società in cui viviamo.
    Le sofferenze sono cifre di un codice: contengono la chiave per comprendere ogni società. […]
    Oggi imperversa ovunque una algofobia, una paura generalizzata del dolore. Anche la soglia del dolore crolla con rapidità.
    L’algofobia ha come conseguenza un’anestesia permanente. Si evita qualsiasi circostanza dolorosa. […] Nell’odierna algofobia è insito un cambio di paradigma.
    Noi viviamo in una società della positività che tenta di sbarazzarsi di tutto ciò che è negativo. […] I pensieri negativi vanno evitati e immediatamente sostituiti da pensieri positivi. […]
    La società palliativa è inoltre una società del mi piace, che cade vittima della mania di voler piacere. Ogni cosa viene lucidata finché non suscita approvazione.
    Il like è l’emblema, il vero e proprio analgesico della contemporaneità. Non domina solo i social media, ma anche tutti gli ambiti della cultura. Nulla deve più far male.
    Non solo l’arte, ma anche la vita stessa dev’essere instagrammabile, ovvero priva di angoli e spigoli, di conflitti e contraddizioni che potrebbero provocare dolore.” (Han, 2021, pp. 5-8)
    Senza voler qui proporre un’elegia del dolore e della sofferenza, è interessante però notare come il testo di Han ci sottoponga un’interessante riflessione, che può essere accostata, senza timore di contaminazione tra approcci ed epistemologie disciplinari diverse, alle stesse domande di Gianfranco Zavalloni, trasformate in diritti.
    Quali esperienze epurate e anestetizzate stiamo offrendo attualmente ai bambini? Con quali intenti e finalità e motivazioni?
    Siamo realmente consapevoli delle nostre proposte come genitori, educatori, insegnanti, professionisti?
    Se proviamo a volgere in opposizione i diritti ritroviamo il mondo anestetizzato e senza sofferenza, artificialmente modificato di cui Han ci parla.
    L’ozio può diventare riempimento continuo, horror vacui; il dialogo può trasformarsi in monologo e mancanza di ascolto; il silenzio può essere sostituito da un rumore costante; negare la strada può voler dire rimanere solo in luoghi chiusi e sicuri. Una protezione dal mondo reale, complesso e spigoloso in cui i bambini vivono e che stanno attraversando, un tentativo di assicurarli lontani dalle asperità, proponendo loro di non sbucciarsi più le ginocchia, di non annoiarsi mai, di illuminare sempre il buio, perdendosi un percorso di ricchezza, difficoltà, crescita, autonomia.
    In questo libro, per invogliarci a compiere questo viaggio, pensato per i bambini, siamo presi per mano dai vari autori, anche noi lettori adulti, e ci viene consentito di scoprire molti dei diritti che abbiamo da tempo dimenticato:
    l’ozio, gli odori, il dialogo, la strada, il selvaggio, il silenzio, le sfumature, lo sporcarsi, l’uso delle mani, il buon inizio.
    Ogni scrittore ci offre uno spaccato che parte dalle parole di Gianfranco Zavalloni, cita ricordi personali, racconta esperienze professionali, crea suggestioni, sollecita in un processo di contaminazione costante parole di altri autori, permettendo però a ognuno di noi di trovare la sua personale interpretazione di quel diritto in un continuo gioco di scambi.
    Ogni diritto presuppone un’azione, un essere presente nel mondo, percependolo e agendo con rispetto e con cura, anche trasgredendo le regole imposte da una società anestetizzata.
    In questo punto, per riconoscere il pieno valore conoscitivo dell’azione, è necessario cedere la parola a David Le Breton, sociologo e antropologo, che sottolinea l’importanza di un provare a essere consapevoli della nostra presenza sulla terra, diritto fondamentale da difendere e proporre a bimbe e bimbi, senza dimenticarci di attuarlo noi stessi come adulti.
    “Di fronte al mondo, l’uomo non è mai un occhio, un orecchio, una mano, una bocca o un naso, ma uno sguardo, un ascolto, un tocco, un modo di assaporare o annusare; insomma, un’attività.
    A ogni istante, egli fa del mondo sensoriale in cui è immerso un mondo di senso di cui l’ambiente costituisce il pretesto.
    La percezione non è l’impronta di un oggetto su un organo sensoriale passivo ma un’attività di conoscenza diluita nell’evidenza o frutto di una riflessione. (Le Breton, 2007, p. 5)
    L’uomo non può esimersi dal fare esperienza del mondo, dall’esserne in continuità attraversato e modificato. Il mondo è l’emanazione di un corpo che lo penetra, tra sensazione delle cose e sensazione di sé, si instaura un
    andirivieni continuo; prima del pensiero, vi sono i sensi. […] Il corpo è la condizione umana del mondo, il luogo dove il flusso incessante delle cose si arresta dando forma a significati precisi […]. ”(Le Breton, 2007, p.XI).