MICROLIBRI DI GIANFRANCO E FABIO
Le cose a volte nascono così, un misto di caso, creatività e generosità. L’esperienza dei micro-libri ha seguito questo sentiero, che è ancora ricco di frutti e foglie colorate.
Siamo a metà anni novanta in gita nella repubblica Ceca, Gianfranco, Maddalena Zanfanti e il sottoscritto, inviati dal comune di Sogliano in un progetto di gemellaggio.
Nei momenti liberi leggo a Gianfranco e Maddalena i miei piccoli pensieri scritti nella nostra lingua madre ( il dialetto ). Gianfranco, che è un vulcano di idee, mi dice: “Sai, potremmo fare per Natale un libro talmente piccolo che si può tenere in tasca, ci mettiamo dentro le tue poesie e i miei disegni.
Lo andiamo a stampare in via Chiaramonti da Forti, una tipografia talmente piccola che ci lavora solo una persona.” Così succede, ne stampiamo 250 copie, che diventano un gradito regalo.
Ripensandoci, tornando a tenere in mano quel tempo nel quale l’elastico della vita si allungava al massimo, mi convinco che questi libri minimi concentrassero tanto della sua vita e della mia: il dialetto, i disegni, la poesia, i temi che si riferivano all’infanzia, alla natura, alla tradizione.
La bellezza di una cosa piccola fatta col cuore, i disegni di quello che poi si sarebbe rivelato un artista. Non è difficile per me farmi prendere dalla malinconia, dal desiderio forte di rivivere quei momenti.
Ancora oggi, chi ha qualche copia di questi micro-libri me li chiede per completare la collezione.
Siamo andati avanti, dal 1996 per 20 anni; negli ultimi Gianfranco non c’era già più, mi aiutava la tenera e disponibile Stefania.
Ho poi continuato a pubblicarli inserendo i disegni di Vittorio, che ci è sempre stato vicino.
Mi sembra quasi di sentirlo Gianfranco che mi incoraggia: “Datti da fare, lavora, scrivi, porta avanti l’amore per madre terra; quell’amore che ci forma”.
Nel dicembre 2004 pubblichiamo “Onda tonda”; nella sua postfazione Gianfranco ricorda Giorgio, suo padre, scomparso da poco.
Propone di inserire in ogni ospedale un orto. “Un orto ben curato, con tanti vialetti e tante aiuole di verdure, ortaggi e fiori.
Un orto che abbia anche una bella serra in vetro per l’inverno e una zona dedicata al compost, elemento essenziale per cibare il terreno.
Un orto con tante erbe officinali e piante che favoriscano la riproduzione e la presenza di farfalle. Un orto con tanti alberi da frutto. Frutti per tutti i mesi dell’anno.”
A Cesena nei prossimi anni sorgerà il nuovo ospedale; proporrò al sindaco di realizzare l’orto, dedicandolo a Gianfranco.
di Fabio Molari.
MACI D’INCIOSTAR del 1996
Fabio è maestro e amico. Mi sta facendo apprezzare sempre più la poesia.
La poesia in lingua dialettale romagnola. Quella che io chiamo lingua-madre. Sono contento di fare con lui questo micro-libro. A me piace disegnare e così per Fabio ho fatto questi scarabocchi…
Fabio è maestro e amico. Mi sta facendo apprezzare sempre più la poesia.
La poesia in lingua dialettale romagnola. Quella che io chiamo lingua-madre. Sono contento di fare con lui questo micro-libro. A me piace disegnare e così per Fabio ho fatto questi scarabocchi…
ST’AN del 1997
È la prima volta che scrivo in romagnolo!
Oggi compio quarant’anni. Da quando faccio il direttore in Val di Fassa, ho compreso che dobbiamo imparare la nostra lingua locale. Il romagnolo è la lingua dei nostri genitori, di mia madre e di mio padre. Ho avuto la fortuna di impararla fin da piccolo, così come mio fratello Daniele. Quando invece è nato Raffaele, il più piccolo, che però oggi è il più grande, hanno fatto credere alla gente semplice che parlare in romagnolo ai bambini non andava bene. Hanno detto che era “dialetto” e che invece bisognava parlare solamente la “lingua italiana”.
Noi abbiamo creduto a questo. E così mio fratello non lo sa parlare. Siamo stati ingenui.
Oggi che faccio il direttore didattico, o meglio il “dirigente scolastico” voglio dire a tutti: imparate fin da piccoli la vostra lingua, quella dei vostri genitori. Non abbiate paura, non siate ingenui.
Come direttore. D’ora in poi, mi impegnerò a far insegnare il romagnolo a scuola. La stessa cosa mi è capitata con i disegni. Noi pensiamo che siano sempre gli altri ad essere capaci di fare le cose.
È per questo che ho fatto questi disegni e queste decorazioni per le poesie di Fabio.
SEGN E SOGN del 1998
Ormai comincia a essere un appuntamento fisso.
Qualcuno già la considera una tradizione e (come dire) “se l’aspetta”.
Il librettino con le poesie del maestro Molari di Montenovo e i disegni del direttore Zavalloni da Sorrivoli. Ormai per qualcuno è come il panettone o il torrone…con un vantaggio: non fa male alla linea, né può essere avvelenato. Pare, però, che ci sia una sorta di mercato nero di questi librettini annuali. È qualcosa che assomiglia alla quotazione sul mercato dei collezionisti e qualcuno ha adombrato l’idea di voler lanciare questo prodotto in borsa. Certo non era nostro intento giungere a tali risultati, ma si sa che ormai nella società, in cui tutto ciò che ha senso deve avere un prezzo. Anche questo piccolo regalo “ha un prezzo” elevato, e chi non lo possiede farebbe di tutto per averne una copia. A dire il vero le intenzioni di Fabio e del sottoscritto sono all’opposto. Noi siamo per il dono, per il regalo, per qualcosa che sia totalmente “a gratis”.
Il nostro è chiaramente un intento non economico, perché la poesia, le emozioni e le passioni non possono essere mercificate, non possono essere vendute, né comprate. Il grande aquilonista di Ravenna, Medio Calderoni, che oggi ha 85 anni, e che costruisce aquiloni dall’età di 11, non ha mai venduto in vita sua un aquilone. È utopia?
Certo. Per questo bisogna credere nell’utopia affinché questa possa divenire realtà.
TÈRA del 1999
Riusciremo mai a contare le lingue della terra?
È come dire: potremo mai raccogliere in un libro in una biblioteca tutte le poesie del mondo?
Come le poesie, le lingue sono qualcosa di vivo.
Hanno dentro una forza che le fa vegetare ogni giorno, come un albero, come un fiume, come il vento e come le stelle. Per questo anche oggi, a cavallo fra i due secoli, noi parliamo, comunichiamo e componiamo poesie nella lingua che abbiamo appreso dai nostri genitori: il romagnolo. E lo facciamo non con lo spirito di chi non vuole incontare l’altro, ma convinti che”…”una lingua è una specie di DNA, il codice genetico di un popolo. È l’essenza, la struttura stessa di una cultura. Una lingua è molto più di un insieme di suoni.
Di caratteri, di parole e di grammatica. Essa contiene la memoria collettiva di una comunità ed è spesso associata alle varie sfacciettature delle relazioni sociali, dei valori morali, dei punti di vista politici e delle tradizioni…”(Silvia Carrel). E sono inoltre convinto che, come diceva Gary Lawless…” ogni territorio del nostro pianeta ha bisogno di un poeta che ne apprenda il linguaggio, i ritmi, i cicli e sappia dar voce all’esperienza, affinché quel luogo possa parlare tramite la poesia”. Fabio Molari in questi anni lo sta facendo egregiamente per la nostra “bioregione”, per il territorio dell’Uso del Rubicone, del Savio. E così Valderico Mazzotti a Torre Pedrera nel Riminese. Mentre Sauro Spada ci offre nuove splendide pagine in lingua romagnola, nella versione cesenate- Che altro dire: teniamo nel cuore le nostre lingue, sono un grande patrimonio, sono una ricchezza per la terra.
PANSIR del 2000
Il 2001 è stato dichiarato dall’Unione Europea Anno delle lingue e culture regionali minoritarie. È una proposta che ci stimola a superare la vecchia idea di considerare il romagnolo, ma potremmo parlare anche il marchigiano, il veneto, il napoletano, ecc….,come un dialetto.
Il romagnolo è una vera e propria lingua, come lo sono le lingue native, quelle parlate nelle provincie e regioni della nostra penisola e del mondo.
Il parlamento italiano, con la Legge 482 del 15 Dicembre 1999, ha emanato ”norme per la tutela delle 12 minoranze storiche” dimenticandosi di lingue locali e regionali, come il romagnolo, parlate ancora da milioni di persone. È un’operazione che continua a far retrocedere in serie B, a rango di dialetti, lingue che hanno, oltre a una loro parlata orale, vere e proprie grammatiche e vocabolari.
Un appello a tutti gli scrittori romagnoli
Con Pansir (Pensieri). Quinta edizione del microlibro natalizio, io e l’amico Fabio Molari, vogliamo rivolgere un appello-invito a tutti coloro che scrivono in lingua romagnola. D’ora in avanti, quando andiamo in stampa con un articolo, con un saggio, con un racconto o con una raccolta di poesie, usiamo la definizione” in lingua romagnola” e non “ in dialetto”.
È un appello che rivolgiamo anche alla scuola e alle famiglie, affinché, prima dell’inglese, si introduca nella scuola, anche il parlare, il leggere e lo
Scrivere in lingua romagnola!
Ma lo sapevate che nel sito Internet della Nazioni Unite(http:www.unhchr.ch/udhr/lang/eml.htm) c’è la DICHIARAZIOUN UNIVERSELA DI DIRET UMEN in Lingua Sammarinese, cioè romagnolo, inviata dal Signor Guidi della Biblioteca Popolare di Serravalle(RSM)
Speriamoche in questo nostro impegno sulla lingua romagnola ci venga in aiuto la Repubblica di San Marino.
EVI E NOVLI del 2001
Il 2001 è un anno che ricorderemo sicuramente per due grandi eventi: il G8 di Genova e l’11 Settembre delle torri di New York e conseguentemente guerra in Afghanistan.
E cosa possiamo fare noi?
Vengono alla mente alcuni gesti o alcune rinunce.
Ivan Illich invita a sottrarsi.
Cioè: non far niente, oziare, rallentare le velocità, camminare a piedi, fare pagliai, soffermarsi di meno davanti alla televisione, non comprare azioni in borsa, scrivere lettere a mano con carta, pennino, cannetta e inchiostro, coltivare un orto, giocare e perder tempo, barattarsi le cose o regalarle quando non servono più, salvare semi, seminarli e poi scambiarli, non programmare, poetare in lingua locale, disegnare, leggere un libro. Ne consiglio uno bellissimo di Christoph Baker dal titolo”Ozio, lentezza e nostalgia”.
Ma c’è anche Wendell Berry che ha scritto ”Con i piedi per terra”.
Wendell, fra l’altro, consiglia così: fate la spesa vicino a casa, comprate in un negozio piuttosto che in un ipermercato, non comprate niente di cui non abbiate bisogno, fate tutto quello che potete da soli, vedete se un vicino può farlo per voi, comprate prodotti alimentari coltivati nella zona, coltivate qualcosa per il vostro consumo personale, andate in vacanza vicino casa vostra.
Riusciremo davvero a sottrarci?
Che bello se tutto quello che avevamo messo in piedi, in pompa magna, a Genova avesse avuto come contraltare una città vuota, senza abitanti ne manifestanti!
Ma la ricordate la storia de “I vestiti nuovi dell’imperatore” e del bambino che ingenuamente disse: -“Ma il re è nudo!”?
È l’unica maniera per unire tutti: i semplici, i poveri e i diseredati della terra, l’indio sudamericano e il contadino romagnolo.
PAEN E ZENDRA del 2002
Voglio dedicare questo microlibro, che ogni anno realizzo insieme all’amico Fabio, ai perdenti. E alle cause, a volte, perse in partenza. Lo faccio perché non ho mai sopportato l’arroganza e l’ostentazione del potere nei confronti dei deboli e dei semplici.
Ivan Illich ci ha lasciato pochi giorni fa. Illich difendeva le tecnologie conviviali, le lingue locali. Ci ha insegnato che le persone hanno il diritto di vivere e risolvere i loro problemi con dignità, senza l’obbligo di ricorrere forzatamente allo specialista di turno.
Ha abbassato la serranda la tipografia Forti.
Per sei anni abbiamo stampato questi libricini in questa piccola bottega artigianale. Si chiude non solo per l’età, ma anche perché, nonostante che…”il piccolo sia bello”, tutto è in funzione del grande, del super, dell’iper.
Vogliamo e dobbiamo difendere le piccole botteghe, come quella di Sorrivoli, luoghi di piccola economia e di incontri fra la gente.
Ci piace pensare alla bioregione Romagna. Non nella prospettiva di creare poltrone o dirigenze. Ci piace questa terra, con le persone che vivono e coltivano i campi e gli orti. Ci piace il modo di cucinare i cibi, di fare arte e artigianato, di stampare tele, dipingere e scrivere, soprattutto in “lingua locale”, il romagnolo (e rumagnol).
Sauro Spada quest’anno ci ha regalato un altro libro di racconti in romagnolo.
C’è chi pensa a fare tanti soldi e possibilmente in poco tempo. I miei genitori Giorgio e Verdiana, hanno pensato bene di buttare i loro pochi risparmi di una vita, nel laboratorio delle tecnologie appropriate. Un luogo in cui imparare ad usare bene le mani ed insegnarlo ai bambini. Hanno investito a loro modo, in una cosa piccola, ma con grande idealità.
Grazie a chi pensa in grande le cose piccole e semplici.
TÓT E’ CAENTA del 2003
ONDA TONDA del 2004
GIORGIO, “e mibà” (mio babbo), ci ha lasciato 10 mesi fa. In due mesi esatti, tre ricoveri, due interventi alle gambe e poi l’addio per sempre, in ospedale. Una sola volta mi ha detto, felice: “oggi sto bene, vammi a prendere un caffè al bar…”. È accaduto dopo che, per la prima volta, la fisioterapista gli ha insegnato come usare il tutore all’anca. Ma in quella mezz’ora gli ha anche chiesto “qual era il suo nome”, “che lavoro aveva fatto nella sua vita”,e “dove abitava”.
E quando ha saputo di avere di fronte Giorgio, coltivatore diretto, ancora ancora attivo in quel di Molino Cento, gli ha raccontato di essere stata anche lei, pochi mesi prima, presso una fattoria didattica molto bella. Il caso ha voluto che quella piccola azienda trasformata in un’aula di ecologia all’aperto fosse proprio quella di Giorgio, che, subito, ne è uscito con uno dei suoi profondi sorrisi. In quell’occasione, mio padre, non fu considerato come una vecchia macchina entrata in officina per essere ripartita oppure rottamata. Era un uomo con un nome, con esperienze di vita da raccontare, vissute in un luogo preciso, fra le prime colline dell’appennino e il fiume Savio. Ho ripensato spesso, in questi mesi, a quei giorni, a quell’unico evento che rasserenò la degenza in ospedale di mio papà. E allora: perché l’ospedale di Cesena, anzi ogni ospedale, non si organizza un proprio orto? Un orto ben curato, con tanti vialetti tante aiuole di verdure, ortaggi e fiori. Un orto che abbia anche una bella serra di vetro per l’inverno e una zona dedicata al compost, elemento essenziale per cibare il terreno. Un orto ricco di erbe officinali e piante che favoriscano la riproduzione e la presenza di farfalle. Un orto con tanti alberi da frutto. Frutti per tutti i mesi dell’anno. Un orto vorrebbe dire, per chi resta pochi giorni o settimane in ospedale, riconoscersi in un elemento essenziale della propria bioregione, cioè nel luogo in cui viviamo, fatto di storia, di tradizioni, di cultura, di memoria. E così noi tutti (anche chi non è costretto in ospedale) potremmo beneficiare sia della semplice visione di questo piccolo “paradiso terrestre”, sia della possibilità di fare qualche lavoro nell’orto. E avremmo bisogno di sicuro di meno medicine e forse guariremmo più in fretta.
Anche questo nono micro-libro è per tutte le persone semplici e per i luoghi nascosti ai riflettori. È per grandi e piccoli viaggiatori: mio papà che percorreva il suo podere in bicicletta e Tiziano Terzani, che per anni ha viaggiato il mondo offrendolo a noi attraverso i suoi libri e articoli.
RANZOUN del 2005
DALONGA del 2006
LOUNA STORTA del 2007
PAROLI AD GUAZA del 2008
La nostra vita è un insieme di casualità a cui noi possiamo in qualche modo soltanto andare incontro. Certo ci rimane l’altra scelta: schivarle. Io non ho scelto di schivare l’opportunità di mettermi in viaggio e ripartire per questa nuova avventura brasiliana.
Eccomi qua, nello stato del Minas Gerais, a Belo Horizonte, dove tutti, ma proprio tutti, ogni volta che ti incontrano ti chiedono se va tutto bene. Sì, va tutto bene: conoscono nuove persone guardo nuovi paesaggi, imparo nuove parole, ascolto nuove musiche, annuso nuovi odori, sento nuovi sapori. E penso al profumo della piadina romagnola (la pida): mi manca, la desidero. Ogni volta che ci distracchiamo della nostra “terra madre”, dai luoghi in cui siamo nati, abbiamo una grande opportunità: guardarli con un occhio disincantato, criticarli, e poi scoprirne le ricchezze, ritornare ad amarli con maggior profondità. Av ringrezi! Grazie a tutti Voi, che da tredici anni aspettate, verso Natale, questo micro-libro.
Grazie a Fabio che ogni anno mi rinnova questo gioco fatto di parole della nostra “lingua madre”: il romagnolo.
E va tot ben!
L’OMBRA DAL NOVLI del 2009
Era il 18 luglio 1982 quando per la prima volta sono sbarcato all’aeroporto di Lima, proveniente dalla Romagna. 27 anni dopo, il 30 novembre, sono tornato in questo affascinante, misterioso e, per molti versi, inquietante paese, a cui ho dedicato il lavoro della mia tesi di laurea. Cambiano le persone, cambiano le città, cambiano gli Stati. Nel 1982 scoppia il caso della Loggia P2 e diventa primo ministro Spadolini. Il muro di Berlino era ancora in piedi. Non si sapeva cosa fosse Chernobil. Nessuna pensava mai ad un presidente nero negli USA. In Perù ritrovo Tiziano, partito negli stessi giorni per un’esperienza di volontariato sulle Ande. Ora vive qui a Lima e ha cresciuto tre figli. E poi c’è Vittoria, a cui le avevano dati poco tempo da vivere (era sulla cinquantina) dopo averle tolto lo stomaco. A Cusco ora coordina un progetto di turismo sostenibile che sostiene un progetto di solidarietà con le bambine lavoratrici. Ritrovo Vichy e Gaston Aramayo, artisti che mi hanno introdotto nell’arte di animare i burattini. Anche loro viaggiano sui settanta, ma con la grande passione di sempre. Si migliora o si peggiora? La vita è un ciclo, fatto a spirale. “Dagli Appennini alle Ande…e ritorno”, era il titolo della mia tesi di laurea. Un confronto fra tecnologie appropriate delle Ande…e in Romagna. Ora sono di nuovo sulle Ande…e in Romagna, Verdiana fa ancora il suo orto. Come dice una bellissima canzone latino-americana: “Grazie alla vita, che mi ha dato tanto…”
SAVON del 2010
Si viaggia, si incontrano luoghi, modi di vivere, di abitare, abitudini diverse di popoli. Ci si abitua a capire i popoli della terra, come accade in natura, esprimono “biodiversità”.
In Argentina, a Buenos Aires, conto cento passi per percorrere in diametro dell’ombra di un “gomero”: l’albero più grande che abbia mai visto nella mia vita.
È vicino al cimitero monumentale del quartiere Recoleta, dove è sepolta Evita Peron…la fragilità dell’uomo accanto alla potenza degli elementi della natura. Così accade anche a Foz di Iguazù nelle famose cascate, dove l’acqua raggiunge il massimo della sua forza, della sua potenza. La natura e l’uomo: ancora potenza e fragilità. Ci hanno lasciati in questo anno, e li ricordiamo, Maria di Sorrivoli (la mamma di Raffaele), Maurizio di Molino Cento, mio vicino di casa, con cui ho giocato per anni da bambino. E poi il cesenate Aurelio Tassinari- scrittore in lingua romagnola -e Tavo Burat, il piemontese che si è battuto per la dignità di tutte (ma proprio tutte!) le lingue. Li porto tutti in me con tanta nostalgia, ma anche tanti bei ricordi. In Plaza de Mayo le” nonne” rivendicano la paternità dei nipoti, i figli dei loro figli e delle loro figlie “desaparecidos”. Quello che ho sempre vissuto come “storia” diventa improvvisamente emozione, il mio presente entra nella storia. Oggi, 10 dicembre si celebra la giornata della democrazia, a ricordo del giorno in cui, nel 1983, ritornò la democrazia in Argentina. L’equivalente 25 aprile per noi italiani. La storia dell’Argentina è storia di “emigranti italiani”: qui si mangia, si parla, si respira Italia. Le storie degli emigranti sono vite vissute, sofferte, storie di umiliazioni e di riscatti.
Anche oggi è così in Italia, arrivano gli emigranti. Per 150 anni, 29 milioni di italiani sono partiti per il mondo! I flussi e i riflussi della storia. E il mondo continua a mescolarsi: la biodiversitàcontinua.
E PRINCIPE BURDÈL del 2011
LA LIBERTÀ DAL FOI del 2012
SUMÈR IN VOUL del 2014
ALÀ VAIOUN del 2015