Di mani in mani
di Valentina Albertini
Le sue mani erano grandi.
Potevano spaventare me come gli altri bimbetti della materna. Tutti guardavamo il maestro con il naso in su senza riuscire a scorgere la cima della sua testa riccioluta. Ho smesso di avere paura di lui quando lo vidi costruire e poi animare buffi personaggi da dietro un telaio di legno e stoffa. Erano i miei primi burattini. Entrai così nel mondo del teatro di figura con la meraviglia negli occhi di bambina.
All’asilo il momento dei burattini del maestro Gianfranco era sempre un’occasione di festa: era stato allestito uno spazio dedicato, abbastanza grande da ospitare tutti i bimbi delle sezioni seduti a terra su materassoni verde scuro.
Finita la scuola materna tutto questo diventò ricordo sempre più sfumato; del mio maestro restarono nella memoria gli occhiali ambrati, la barba e il suo essere il gigante buono dei burattini in mezzo a noi piccoliNon conoscevo il suo cognome, l’ho sempre ricordato come il maestro Gianfranco, il primo insegnante che nel mio percorso scolastico aveva lasciato un segno, tanto che il suo ricordo si riaccendeva inevitabilmente ogni volta che mi capitava di vedere una rappresentazione di burattini nelle strade o nelle piazze del territorio.
Al termine dell’Università non fu difficile
accettare un incarico di gestione della segreteria di una nascente associazione fatta di scuole, comuni, attori e compagnie teatrali. Nasceva La Bottega del teatro del Rubicone, chiamata così per volontà di Franco Mescolini.
Fortuna volle che a dirigere l’associazione ci fosse proprio Gianfranco.
Fu un’esperienza altamente formativa lavorare con lui e sperimentare direttamente la valenza didattica del teatro per gli alunni di tutte le età. Chiara la preziosità dello strumento che avevamo nelle mani, per parlare ai ragazzi di qualsiasi cosa: gli argomenti scolastici, la gestione dei conflitti, il disagio, la multiculturalità e, ciò che più piaceva a Gianfranco, la bellezza della biodiversità.
In quegli anni il mio lavoro nell’ambiente culturale assorbì moltissimo l’influsso della didattica teatrale, tanto che mi venne perfino l’idea di creare una storia di burattini per parlare ai bimbi più piccoli di archeologia e del valore dei beni culturali.
Mi confrontai con Gianfranco e lui, esaltato, compose immediatamente il numero telefonico di un suo amico burattinaio che mi avrebbe aiutato nell’impresa. Nel giro di pochi giorni mi ritrovai immersa in un vero e proprio corso da burattinaia, con tutti i passaggi dovuti: la stesura del copione, la costruzione dei burattini, l’abbellimento della baracca di legno e le prove, tantissime ore di prove. Poi il debutto in una sala stracolma di bimbi eccitati. Quel giorno, in fondo alla sala, con la sua videocamera c’era anche chi aveva dato inizio a tutto questo. Non solo pochi mesi prima, ma direttamente negli anni ’80 quando, tra i bimbi scalpi- tanti per vedere i burattini c’ero io e, dietro la baracca, c’era lui.
Lo spettacolo fu un vero successo. Mi dissero che dal fondo della sala Gianfranco rideva come un matto e, a riprova di aver fatto la scelta giusta, vidi bambini entusiasti e genitori divertiti. Ammetto poi che anche per me fu un vero spasso e mi divertii tantissimo a mettermi in gioco nell’impresa. Quel giorno la presenza di Gianfranco mi colpì molto. Come dirigente scolastico e uomo impegnato in svariati progetti non aveva mai molto tempo libero e io sapevo che sarebbe stato difficile averlo in sala. L’emozione di vederlo lì, a ruoli invertiti, dopo più di vent’anni, fu l’espressione più alta del valore didattico del teatro che mi insegnò da bambina e che porto ancora con me.
Continuai negli anni a lavorare negli stessi ambienti culturali, mirando a ideare progetti necessari per le criticità del territorio. Nel 2013 creai un progetto di teatro per la famiglia, in rete tra i comuni di Gatteo, Savignano sul Rubicone, Borghi e Roncofreddo. Serviva un nome per il progetto e io lo dedicai a lui, il Gigante Buono, con la speranza di promuovere sempre di più, e sempre meglio, l’amore e l’attenzione per il Teatro.
Tratto dal Quaderno della Lumaca amano